IL CATECHISMO DEI LAVORATORI

IL CATECHISMO DEI LAVORATORI

Catechismo dei lavoratori

Domanda: - Come ti chiami?

Risposta: - Salariato.

D: - Chi sono i tuoi genitori?

R: - Mio padre era salariato così come mio nonno e il mio bisnonno; ma i miei progenitori erano servi e schiavi. Mia madre si chiama Povertà.

D: - Da dove vieni, dove vai?

R: - Vengo dalla povertà e vado alla miseria, passando per l'ospedale, dove il mio corpo servirà da materiale di esperimento per le nuove medicine e da oggetto di studio per i dottori che curano i privilegiati del Capitale.

D: - Dove sei nato?

R: - In una soffitta, sotto il tetto di una casa che mio padre e i suoi compagni di lavoro avevano costruito.

D: - Qual'è la tua religione?

R: - La religione del Capitale.

D: - Quali doveri ti impone la religione del Capitale?

R: - Due doveri principali: il dovere della rinuncia e il dovere del lavoro.

La mia religione mi comanda di rinunciare ai miei diritti di proprietà sulla terra, nostra madre comune, sulle ricchezze delle sue viscere, sulla fertilità della sua superficie, sulla sua misteriosa fecondazione per mezzo del calore e della luce del sole. Mi comanda di rinunciare ai miei diritti di proprietà sul lavoro delle mie mani e del mio cervello. Mi comanda poi di rinunciare al mio diritto di proprietà sulla mia stessa persona; dal momento in cui varco il portone della fabbrica, io non mi appartengo più, sono cosa del padrone.

La mia religione mi comanda di lavorare dalla fanciullezza fino alla morte, di lavorare alla luce del sole e alla luce del gas, di lavorare di giorno e di notte, di lavorare sulla terra, sotto terra e sul mare; di lavorare sempre e ovunque.

D: - Ti impone anche altri doveri?

R: - Sì. Di prolungare la quaresima per tutto l'anno; di vivere di privazioni, non soddisfando la mia fame che a metà; di limitare tutti i bisogni della mia carne e di soffocare tutte le aspirazioni del mio spirito.

D: - Ti proibisce determinati cibi?

R: - Mi vieta di assaggiare la selvaggina, il pollame, la carne bovina di prima, seconda e terza qualità, di gustare il salmone, l'astice, il pesce delicato; mi vieta di bere il vino genuino, l'acquavite e il latte così come esce dalle mammelle della mucca.

D: - Quali cibi ti consente?

R: - Il pane, le patate, i fagioli, il merluzzo, le aringhe affumicate, gli scarti di macelleria, la carne di vacca, di cavallo, di mulo e gli insaccati. Per riprendere in fretta le mie forze esauste, mi permette di bere del vino sofisticato, dell'acquavite di patate e dello scassafegato di barbabietola.

D: - Quali doveri ti impone verso te stesso?

R: - Di lesinare sulle mie spese; di vivere nel sudiciume e nel putridume; di indossare abiti stracciati, rattoppati, rammendati; di utilizzarli fino alla trama, finché non cadono in cenci, di camminare senza calze, dentro scarpe sfondate, che bevono l'acqua sporca e ghiacciata delle strade.

D: - Quali doveri ti impone nei riguardi della tua famiglia?

R: - Di proibire a mia moglie e alle mie figlie qualsiasi civetteria, qualsiasi eleganza e ogni raffinatezza; di ricoprirle di stoffe ordinarie, appena sufficienti per non urtare il pudore delle dame; di insegnar loro a non tremare d'inverno vestite di cotonina e a non soffocare d'estate nelle soffitte; di inculcare ai miei bambini i sacri princìpi del lavoro, perché possano, fin da piccoli, guadagnarsi da vivere e non essere a carico della società; di insegnargli a coricarsi senza cena e senza lampada e di abituarli alla miseria che è la loro sorte nella vita.

D: - Quali doveri ti impone verso la società?

R: - Di accrescere la fortuna sociale col mio lavoro innanzitutto e coi miei risparmi poi.

D: - Che cosa ti ordina di fare dei tuoi risparmi?

R: - Di portarli nelle casse di risparmio statali perché servano a colmare il deficit di bilancio(2) o di affidarli alle società fondate dai filantropi della finanza affinché loro li prestino ai nostri padroni. Dobbiamo sempre mettere i nostri risparmi a disposizione dei nostri padroni.

D: - Ti permette di toccare i tuoi risparmi?
R: - Il meno possibile; ci raccomanda di non insistere quando lo Stato si rifiuta di restituirli(3)e di rassegnarci quando i filantropi della finanza, anticipando le nostre richieste, ci annunciano che le nostre economie sono andate in fumo.

D: - Hai dei diritti politici?

R: - Il Capitale mi concede l'innocua distrazione di eleggere i legislatori che forgiano delle leggi per punirci; ma ci proibisce di occuparci di politica e di ascoltare i socialisti.

D: - Perché?

R: - Perché la politica è privilegio dei padroni, perché i socialisti sono dei furfanti che ci derubano e ci ingannano. Ci dicono che l'uomo che non lavora non deve mangiare, che tutto appartiene ai salariati perché sono loro che hanno prodotto tutto quanto, che il padrone è un parassita da sopprimere. La santa religione del Capitale ci insegna, al contrario, che lo spreco dei ricchi crea il lavoro che ci dà da mangiare; che i ricchi mantengono i poveri; che se non ci fossero i ricchi, i poveri morirebbero. Ci insegna anche a non essere così scemi da credere che le nostre mogli e le nostre figlie saprebbero portare le sete e i velluti che tessono, loro che non vogliono agghindarsi altro che di cotonina di cattiva qualità e che noi non saremmo capaci di bere i vini naturali e mangiare i buoni bocconi, noi che siamo abituati a tirare la cinghia e a bere porcherie.

D: - Chi è il tuo Dio?

R: - Il Capitale.

D: - Esiste da sempre?

R: - I nostri preti più dotti, gli economisti ufficiali, affermano che esiste dall'inizio del mondo; essendo a quel tempo molto piccolo, Giove, Geova, Gesù e gli altri falsi dèi hanno regnato al suo posto e nel suo nome; ma dall'anno 1500 circa, egli è cresciuto e non finisce di crescere in massa e in potenza; oggi domina il mondo intero.

D: - Il tuo Dio è onnipotente?

R: - Sì. Il suo possesso dà tutta la felicità della terra. Quando distoglie il suo volto da una famiglia e da una nazione, queste vegetano nella miseria e nel dolore. La potenza del Dio-Capitale cresce a misura che cresce la sua massa; tutti i giorni conquista nuovi paesi; tutti i giorni ingrossa il gregge di salariati che, per tutta la loro vita, si consacrano ad aumentare la sua massa.

D: - Chi sono gli eletti del Dio-Capitale?

R: - I padroni, i capitalisti, i possidenti.

D: - Come ti ricompensa il Capitale, tuo Dio?

R: - Dandomi sempre e sempre del lavoro, a me, a mia moglie e ai miei piccoli figli!

D: - E' questa la tua unica ricompensa?

R: - No. Dio ci permette di soddisfare la nostra fame assaporando cogli occhi le appetitose vetrine di carne e di cibi che noi non abbiamo mai gustato, che noi non gusteremo mai e di cui si nutrono gli eletti e i sacerdoti. La sua bontà ci permette di riscaldare le nostre membra intorpidite dal freddo, ammirando le calde pellicce e i vestiti pesanti con cui si coprono gli eletti e i sacerdoti. Ci concede inoltre il delicato piacere di rallegrare la nostra vista contemplando il passaggio in carrozza lungo i viali e le piazze pubbliche della sacra tribù dei possidenti e dei capitalisti lucidi, paffuti, panciuti, agiati, circondati da una torma di valletti gallonati e di cortigiane dipinte e colorate. Noi allora ci inorgogliamo al pensiero che se gli eletti godono delle meraviglie di cui noi siamo privati, esse sono opera delle nostre mani e dei nostri cervelli.

D: - Gli eletti sono di una razza diversa dalla tua?

R: - I capitalisti sono impastati colla stessa argilla dei salariati; ma loro sono stati scelti tra migliaia e milioni.

D: - Che cosa hanno fatto per meritare questa promozione?

R: - Nulla. Dio dimostra la sua onnipotenza riversando i suoi favori su colui che non se li è affatto guadagnati.

D: - Il Capitale è dunque ingiusto?

R: - Il Capitale è la giustizia stessa; ma la sua giustizia supera la nostra debole comprensione. Se il Capitale fosse obbligato ad accordare la sua grazia a coloro che se la meritano, non sarebbe libero, la sua potenza avrebbe dei limiti. Il Capitale non può affermare la sua onnipotenza che prendendo i suoi eletti, i padroni e i capitalisti, dal mucchio degli incapaci, dei fannulloni e dei buoni a nulla.

D: - Come ti punisce il tuo Dio?

R: - Condannandomi alla disoccupazione; allora sono scomunicato; mi è proibita la carne, il vino e il fuoco. Noi moriamo di fame, mia moglie e i miei figli.

D: - Quali sono le colpe che devi commettere per meritare la scomunica della disoccupazione?

R: - Nessuna. Il Capitale decreta a suo piacere la disoccupazione senza che la nostra scarsa intelligenza possa afferrarne la ragione.

D: - Quali sono le tue preghiere?

R: - Io non prego con le parole. Il lavoro è la mia preghiera. Ogni preghiera a parole disturberebbe la mia preghiera efficace che è il lavoro, l'unica preghiera che sia apprezzata, perché è la sola utile, la sola che avvantaggia il Capitale, la sola che crea plusvalore.

D: - Dove preghi?

R: - Ovunque: sul mare, sulla terra e sotto terra, nei campi, nelle miniere, nelle fabbriche e nelle officine.
Perché la nostra preghiera venga accolta e ricompensata, dobbiamo deporre ai piedi del Capitale la nostra volontà, la nostra libertà e la nostra dignità.
Al suono della campana, al fischio della macchina dobbiamo accorrere; e, una volta in preghiera, dobbiamo, come automi, muovere braccia e gambe, piedi e mani, ansimare e sudare, tendere i muscoli e sfibrare i nostri nervi.
Dobbiamo essere umili di spirito, sopportare docilmente la collera e le ingiurie del padrone e dei capimastri, perché loro hanno sempre ragione, anche quando ci sembrano avere torto.
Dobbiamo ringraziare il padrone quando lesina sul salario e prolunga la giornata di lavoro; perché tutto ciò che fa è giusto e per il nostro bene. Dobbiamo essere onorati quando il padrone e i suoi capoccia accarezzano le nostre mogli e le nostre figlie, perché il nostro Dio, il Capitale, gli concede il diritto di vita o di morte sui salariati così come il diritto di andare a letto con le salariate.

Piuttosto che lasciarci sfuggire un lamento, piuttosto di permettere alla collera di far bollire il nostro sangue, piuttosto che scendere in sciopero, piuttosto che ribellarci, dobbiamo sopportare ogni sofferenza, mangiare il nostro pane ricoperto di sputi e bere la nostra acqua sporca di melma; perché per punire la nostra insolenza, il Capitale arma il padrone di cannoni e di sciabole, di prigioni e di penitenziari, di ghigliottina e di plotoni di esecuzione.

D: - Riceverai una ricompensa dopo la morte?

R: - Sì, una grandissima ricompensa. Dopo la mia morte, il Capitale mi lascerà sedere e riposare. Non soffrirò più il freddo né la fame; non dovrò più preoccuparmi né del pane quotidiano né del domani. Godrò del riposo eterno della tomba.

NOTE

(2)Il catechismo fa allusione a dei fatti che avvengono in Francia ma che, di certo, i suoi estensori vorrebbero vedere diffondersi negli altri paesi. Le somme depositate nelle casse di risparmio sono state utilizzate per liquidare il debito fluttuante, che ammontava a milleduecento milioni di franchi; tutti gli anni le eccedenze delle uscite sui rientri delle casse di risparmio servono, come dice il catechismo, a colmare il deficit di bilancio. Beaulieu segnalava il pericolo rappresentato da tale situazione, dato che lo Stato potrebbe essere dichiarato in fallimento dai depositanti venuti a reclamare il loro denaro.
Io farei osservare il carattere genuinamente internazionale del catechismo capitalista, che formula i doveri e i diritti dei proletari senza distinzione di paese e di razza.

(3)La cosa è già accaduta nel 1848; gli estensori prevedono che si ripeterà ancora e vogliono preparare gli operai risparmiatori.