Il Papa, prima di prendere il biglietto per l’altro mondo, indossò i suoi ornamenti più belli; per precauzione riempì la sua borsa.
Rammentava il consiglio dell’oste che consacrò cavaliere Don Chisciotte: un po’ di denaro e qualche camicia sono indispensabili in viaggio.
Il Papa giunse alla porta del Paradiso verso le undici di notte. C’era ancora luce in portineria. Bussò leggermente: nessuna risposta. Bussò con più decisione. San Pietro s’affrettò ad aprire. Il suo volto era corrucciato, la sua faccia rubiconda fiammeggiava; si riprometteva di cacciar via in malo modo l’intruso che, così a sproposito, disturbava la sua conversazione notturna e quotidiana con il fiasco.
- Chi sei, canaglia, che bussi... ? – urlò con voce irata; ma le parole gli morirono immediatamente in gola. Togliendosi il berretto di lontra e salutando con umiltà, aggiunse:
- Perdonatemi, Monsignore, credevo che non ci fosse altro che qualche pidocchioso pezzente che potesse arrivare a quest’ora. Vi chiedo scusa...
La splendida veste del Papa aveva prodotto un turbamento nell’animo di San Pietro. Pio IX, indignato, gettò una moneta al cerbero paradisiaco ed entrò mormorando:
- E dire che io sono il successore di questo servo ubriacone e insolente! Quello che rinnegò il suo maestro al momento del pericolo. Lo rinnegherebbe altre cento volte per soddisfare il suo vizio di bere.
San Pietro, ripresosi un po’, seguì con sguardo d’ammirazione Pio IX che s’incamminava per il gran viale del Paradiso.
- Ecco qua un vero damerino! Ma che morto di fame! Mi ha dato solo una moneta da due franchi. Tuoni e fulmini! È una moneta falsa del Papa... Ladro.
Dopo avere girovagato fino all’alba, il Papa chiese a qualcuno per la dimora del Padre Eterno. Era una misera capanna. Era stato avvertito di non darsi la pena di bussare; nessuno sarebbe andato ad aprirgli. A quanto si diceva, Dio con l’età era diventato misantropo; viveva da solo e non voleva udire il suono della voce umana. Questi consigli rattristarono il Papa; cominciò a dubitare della riuscita della sua impresa. Tuttavia spinse decisamente la porta ed entrò risoluto nell’unica stanza della stamberga. L’aspetto era miserabile. La carta alle pareti era sporca, strappata e staccata in più punti; sul soffitto affumicato si allungavano delle crepe. Presso il camino si scorgeva una poltrona alla Voltaire e un tavolino, con una tisana di malva e un bicchiere scheggiato. Nella poltrona un vecchio curvato in due attizzava il fuoco, producendo più fumo che calore.
Quel vecchio era Dio.Non era il vigoroso lavoratore che aveva plasmato il mondo in sei giorni, non era il terribile Geova che scagliò fulmini e saette su Sodoma, che aprì le cateratte del cielo per annegare gli umani, non era lo spaventoso Dio di Mosé che, sul monte Sinai, apparve tra le folgori, che, per ispirare l’amore, seminava il terrore, che portava a spasso sulla faccia della terra la desolazione, la peste, la fame.Non era il Dio tetro del medioevo che, nascosto in fondo ai tabernacoli invasi dalle ombre respirava l’odore della carne umana bruciata e assaporava i gemiti e le urla dei torturati dall’Inquisizione; non era il Dio assoluto di Carlo V e di Luigi XIV, che teneva nella sua forte mano il globo del mondo, e non era neppure il Dio di Voltaire, il modesto orologiaio, che ricaricava ogni mattina la macchina dell’universo; non era neanche il Dio borghese, monarca costituzionale che regnava e non governava; non era nemmeno il Dio fumoso dei metafisici tedeschi, l’antitesi prima, la negazione del nulla.Era un vecchietto sudicio, disgustoso, la barba incolta e chiazzata di sputo, tremolante, tossicchiante, sbuffante, sbavante; le gambe fasciate nella flanella, il corpo avviluppato in una veste da camera troppo corta, usurata e che mostrava la fodera rossa sul sedere.
Il Papa, colto dalla sorpresa, perse il controllo e pensò ad alta voce:
- Ecco la maestà decrepita, scalcinata, rovinata che io rappresento sulla terra!
- Chi è che parla? – gridò Dio, volgendo la sua faccia giallastra, da cui sporgeva un enorme naso ebreo colmo di tabacco... – Tu ti proclami mio rappresentante sulla terra e osi parlare in mia presenza! E osi venire a disturbarmi in questo angolo di Paradiso, dove non potendo morire, cerco di farmi dimenticare. Visto che hai forzato la porta del mio ritiro, ammira quella che chiami una maestà decrepita. Contempla la tua opera e l’opera dei tuoi predecessori, papi maledetti. Maledetto sia il giorno in cui ho avuto l’idea di mandare mio figlio Gesù sulla terra! A quel tempo ero il padrone sovrano della terra e dei cieli; gli umani non adoravano che me. Sono relegato in fondo ai tabernacoli come un vecchio straccio; adesso gli uomini piegano le ginocchia e accendono ceri davanti alla faccia idiota di Gesù, davanti al pulzellaggio di quella sgualdrina di sua madre, davanti ai piedi sudici e puzzolenti di Sant’Antonio, davanti al suo compagno, di cui si fanno un amuleto. È tornato il tempo di Mammona; il maiale d’oro calpesta i piedi di Sabaoth, il dio degli eserciti... Maledetto sia il giorno in cui dotai di Ragione gli uomini! Allora empivo l’universo con la mia forza e con la mia persona, scagliavo saette, scatenavo i venti, soffiavo la tempesta, sollevavo le onde dei mari, scuotevo la terra nel profondo delle sue viscere. Ma, come un bambino senza pietà strappa le zampe e le ali di un insetto, la Ragione mi strappò a una a una le mie funzioni e le concesse alle forze dell’incosciente Natura. Io rimasi ancora la provvidenza che insediava i re sui troni e distribuiva ricchezze agli uomini: ma l’inumana Ragione insegna che i re sono re, che i grandi sono ricchi, perché la massa umana è idiota e vile e si lascia passivamente comandare e sfruttare.
La Ragione, ingrandendo, mi ha rimpicciolito. La Ragione riempie l’universo.
Maledetta Ragione! Ero sminuito, indebolito; ma le anime ignoranti, confuse, timorate, avevano ancora bisogno di me; io esistevo per loro. Ero colui che, unico, aveva il diritto d’essere infallibile. E tu, vecchio imbecille, tu m’hai spogliato della mia ultima prerogativa, mi hai fatto cadere dal mio trono, tu hai fatto di Dio una marionetta di cui tieni i fili: è coi tuoi occhi che io devo vedere, è con la tua bocca che devo mentire. Vecchio vanitoso ed empio, tu sia maledetto! Maledetto, maledetto sia colui che ha creato gli uomini!... Ah! Se potessi lapidare, schiacciare i figli della terra, se potessi sommergerli, lanciare su di loro tutte le piaghe e tutti i fulmini! Ah! Io sono impotente! E l’Onnipotente ricadde sfinito. “Ma è un maniaco!” pensò il Papa. “Tutto è male, ciò che ha fatto e ciò che hanno fatto gli altri... Sarei stato ricevuto meglio se gli avessi parlato delle mie emorroidi, come consigliava Antonelli. D’altronde sarebbe stato inutile; bisognerebbe gettare Dio ai cani... È Gesù il Dio che mi occorre...
Pio IX si ritirò silenziosamente e rapidamente.
Scena II
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