::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
LE RANOCCHIE NELLA PANNA
(da Lascia che ti racconti di J. Bucay)
C’erano una volta due ranocchie che caddero in un recipiente di panna.
Si resero subito conto che sarebbero annegate era impossibile rimanere a galla per tanto tempo in quella massa densa come le sabbie mobili. All’inizio le due rane si misero a sgambettare nel tentativo i raggiungere il bordo del recipiente. Ma era inutile; riuscivano soltanto a sguazzare sul posto e ad affondare. Diventava sempre più difficile risalire e respirare.
Una di loro disse ad alta voce: “Non ce la faccio più. E’ impossibile uscire di qui. Non si può nuotare in mezzo a questa roba viscida. E dato che devo morire, non vedo perché prolungare la mia sofferenza. Non riesco proprio a capire che senso abbia morire di sfinimento per uno sforzo inutile.
Detto questo smise di scalciare e affondò rapidamente, inghiottita dal denso liquido biancastro.
L’altra rana, più costante o forse più cocciuta disse fra sé: “Non c’è verso di salvarsi!! Non si può fare nulla per andare avanti in mezzo a sta roba … e ppure. Anche se la morte si avvicina preferisco lottare fino all’ultimo respiro: non voglio morire neanche un secondo prima che sia giunta la mia ora”. Continuò a sguazzare sempre sul posto, senza muoversi di un millimetro, per ore e ore.
E a un tratto, con tutto quello zampettare e ancheggiare, agitare e tirar calci, la panna si trasformò in burro. Meravigliata la ranocchia spiccò un salto e pattinando raggiunse il bordo del recipiente. Lo scavalcò e se ne ritornò a casa gracidando allegramente.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::